L'illustre giornalista che scambiò la moglie per un cappello
No, che scambiò un tentativo di phishing per un'e-mail dell'ENEL.
Ciao,
io sono Amanda e questo è il quinto numero di Bollicine, la newsletter in cui trovi una cosa d’attualità e qualche riflessione.
Oggi parliamo del mio maestro di italiano alle elementari e di Corrado Augias.
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La legittimità di un’opinione
In una noiosa domenica di fine gennaio salta fuori la notizia che un illustre giornalista italiano ha pubblicato su un altrettanto illustre quotidiano un articolo in cui scambia un tentativo di phishing per un’e-mail legittima, lamentandosi di quanto fosse sgrammaticata. C’è chi s’è indignato, chi ha trattato l’illustre giornalista come un povero scemo, chi lo ha compatito e chi ha detto che dovrebbe essere in pensione, perché la sua visione del mondo non rispecchia quella della maggior parte di noi.
Viene da chiedersi, quello sì, se nessuno all’interno dell’illustre quotidiano revisioni i pezzi dell’illustre giornalista prima che si vada in stampa. Ma gli errori capitano, e tutti abbiamo cliccato dove non dovevamo cliccare almeno una volta nella vita.
[Un’opinione incazzata, quella di @florenciafacose, che condivido in pieno: vecchi fuori dalle scatole grazie.]
Il fattore determinante, qui, è la legittimità di un’opinione. Quali sono le circostanze che ci rendono così autorevoli da essere esenti da qualunque fact-checking? Cosa serve per veder automaticamente accettate, magari anche condivise, le cose che pensiamo?
Perché Corrado Augias dovrebbe parlare di internet, quando ci sono almeno tre generazioni più esperte di lui in materia? Perché, citando Anne Helen Petersen, “spesso passiamo molto tempo preoccupandoci dell’effetto che un prodotto culturale ha su un gruppo di persone—bambini, adolescenti, donne adulte—e pochissimo tempo parlando direttamente con quelle stesse persone che se ne servono”?
Un po’ di sani fatti miei
In terza o quarta elementare, il mio mitico Maestro Alberto aveva deciso di dedicare buona parte delle ore di italiano e storia facendo domande di filosofia a me e i miei compagni di classe. Quelle lunghe conversazioni, che francamente non ricordo minimamente, sono diventate un libro che si chiama Abitare La Domanda.
Quello che invece ricordo perfettamente è il senso di stupore che ho provato la prima volta in cui ho avuto quel libro tra le mani. Allora anche quello che penso io ha un valore, mi sono detta alla veneranda età di 9 anni, incredula all’idea che una Vera Persona Grande potesse essersi presa la briga di riflettere sulle mie parole.
[Clip di come non mi piaceva essere trattata da bambina: come una bambina]
Anche ciò che dice il più indisciplinato dei miei compagni, quello che salta sui banchi e non risponde mai correttamente quando gli si chiede di fare l’analisi grammaticale di un verbo, merita di essere non solo ascoltato, ma anche trascritto e poi stampato in un libro vero—somigliante in tutto e per tutto al Pinocchio che avevamo letto l’anno prima in classe.
Il mitico Maestro Alberto ha fatto una cosa rara, e preziosa: ha legittimato le opinioni di qualcuno che solitamente non viene minimamente coinvolto nella conversazione di cui è oggetto. Non alle scuole medie, dove i preti che gestivano l’Istituto Salesiano che frequentavo si consideravano gli unici detentori del Sapere, e le loro non erano opinioni, ma fatti inscalfibili. Non al liceo, dove i prof si limitavano a fare il minimo indispensabile, salvo qualche eccezione. Non all’università, dove il rapporto studente-docente neanche esiste.
Le dimensioni in cui si articola la legittimità di un’opinione
Credo sia questo uno dei motivi, per tornare all’attualità, dietro al successo di Clubhouse, l’app dove si sono già iscritte tutte le persone okay che conosco e dove, per ora, ho ascoltato tante opinioni di poco conto, proprio come la mia e quella di Augias sulla correttezza grammaticale di chi pratica phishing per guadagnare.
Entrare in una stanza di Clubhouse e dire qualcosa mentre altre persone, magari sconosciute, ci ascoltano significa automaticamente veder legittimate le nostre opinioni. Perché basta questo per essere legittimi: “avere le condizioni richieste dalla legge, e perciò essere valido, regolare,” come da definizione del Vocabolario Treccani.
Ma allora perché non consideriamo valide le opinioni di molti? Riconoscere la validità di chi, pur sbagliando, la pensa diversamente da noi dovrebbe essere sacrosanto, e invece prendiamo in giro Augias fino allo stremo, senza accorgerci che il meccanismo s’è inceppato ben prima che lui scrivesse quell’articolo.
I understand where you’re coming from. Capisco da dove stai arrivando, cosa c’è nel tuo background e quindi lo rispetto. Ed ecco una cosa che voglio fare di più, sempre su consiglio di Anne Helen Petersen: “Valutate l’opzione di ritagliarvi un po’ di tempo per fare domande curiose—e ascoltare davvero le risposte—delle persone di cui vi prendete cura e per cui vi preoccupate maggiormente.”
Le cose che devo dire prima di concludere, altrimenti non sembra una vera newsletter:
1) Le newsletter crescono quando la gente ne parla, quindi se vuoi aiutarmi e farla girare, questo è il link giusto per farlo.
2) Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi di “Bollicine”. Se vuoi, puoi farlo via Instagram, Twitter o email.
3) Se non trovi la newsletter, controlla lo spam e poi spiega al tuo provider di posta elettronica che no, “Bollicine” non è spam. Grazie al cazzo, mi dirai tu, ma secondo Substack è importante reiterare il concetto quindi eccomi qui a reiterarlo.
4) Se niente funziona, ricorri all’archivio. Lo trovi qui.
Dire grazie
Grazie mitico Maestro Alberto!