Anche gli alberi chiacchierano un sacco
Da oltre 30 anni, Suzanne Simard studia la vita sociale delle foreste.
Ciao,
questo è il secondo numero di “Bollicine”, la newsletter in cui tu trovi una cosa d’attualità e qualche riflessione.
Il primo numero parlava di Hugh Grant ed Everest. Oggi invece parliamo di Greta Thunberg, gente che incendia chiese e poetesse polacche. Buon divertimento.
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Di percentuali e altre amenità
Qualche giorno fa, sul The Guardian Greta Thunberg ha cazziato i governi d’Europa, governi che intanto hanno dichiarato di voler ufficialmente ridurre le emissioni dell’Unione Europea del 55 percento entro il 2030. Potevo scrivere un’intro più noiosa? Probabilmente no, ma è proprio questo il punto.
Affrontare il tema della sostenibilità senza annoiare sembra essere impossibile. Nel 2017 se n’era accorto anche Erik Solheim, l’ex Direttore Esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP). “Non si può annoiare la gente quando gli si chiede di agire. Deve essere emozionata e ispirata all’idea di agire e cambiare i propri comportamenti,” ha dichiarato in un’intervista in cui chiedeva agli esperti di usare un linguaggio meno noioso per invogliare al cambiamento.
[Un video così coinvolgente, quello in cui Ursula Von Der Leyen dichiara l’impegno dell’Unione Europea nel ridurre le proprie emissioni, da aver totalizzato ben 302 visualizzazioni]
È anche per questa noia generale che il movimento Fridays For Future, gli scioperi per il clima e i teenager che usano le sportine di tela ci hanno stupito tanto. Wow, ci siamo detti, ma allora lottare per il clima è figo—lo fa anche nostro cugino Gianpaolo! Smettendo di trattare l’ambiente come se fosse un’entità astratta, i liceali e i loro coloratissimi cartelli (riciclati) ci hanno ricordato una grande verità: al di là di emissioni e giustificatissimi catastrofismi, è possibile anche un approccio più personale e intimo al tema della sostenibilità.
L’assenza di narrative che ci permettano di stabilire un contatto diretto con la natura viene definita come “crisi dell’immaginazione”. Vale a dire: ci sono troppi pochi prodotti culturali e d’intrattenimento che immaginano un futuro realizzabile in cui tra l’uomo e la natura sussiste un rapporto positivo. Per questo motivo, la società non riesce a percepire tale scenario come plausibile: se la fantascienza è l’unico genere che elabora soluzioni alternative all’imminente apocalisse climatica, difficilmente potremo convincerci che un’alternativa sia, di fatto, possibile.
Ma “troppi pochi prodotti culturali” è ben diverso da “inesistenti prodotti culturali”, e quindi eccomi qui a presentarvi i miei futuri realizzabili preferiti.
Alberi chiacchieroni
Fate una prova: aprite questo meraviglioso articolo del New York Times Magazine e ditemi se non vi fa venir voglia di mollare tutto e imparare a sopravvivere nelle foreste. Ecco, appunto: scoprire che gli alberi chiacchierano un sacco tra loro rende la natura un’entità affascinante, a cui viene spontaneamente voglia interessarsi.
Suzanne Simard, la protagonista del reportage, ha passato la sua esistenza studiando la vita sociale delle foreste. Nel corso della sua carriera ha scoperto e dimostrato che, grazie ad una fitta rete sotterranea di radici e funghi, gli alberi di una stessa foresta si scambiano costantemente informazioni e sostanze.
Il fenomeno che rende possibili i pettegolezzi tra alberi è la micorrizia, un tipo di simbiosi che intercorre tra le radici delle piante e varie specie di funghi. “All’interno di una foresta, alberi, piante del sottobosco, funghi e microbi sono così interconnessi, comunicativi e co-dipendenti gli uni dagli altri che alcuni scienziati li descrivono come superorganismi”, spiega l’autore del reportage, Ferris Jabr.
A metà tra favola contemporanea e paper accademico, Jabr riesce incredibilmente a sollevare numerosi problemi d’attualità senza mai risultare noioso. Al centro del saggio vi sono infatti la deforestazione intensiva, il sessismo della comunità scientifica e l’annullamento del confine tra opinioni personali e scienza—trasformati però in bucolici tasselli di un puzzle che, una volta finita la lettura, ti rimette in pace con il mondo.
Incendiare le chiese
Oltre che escapista, la natura può anche essere ironica e divertente. Sto leggendo L’Allegra Apocalisse del finlandese Arto Paasilinna, un ottimo esempio di discorso ecologista perfettamente integrato alla pop culture contemporanea. La trama è presto spiegata: un comunista incendiachiese in punto di morte inserisce tra le sue volontà la fondazione di una Chiesa nuova di zecca, e nasce così l’eremo silvestre.
Locus amoenus a metà tra paradiso e barzelletta, quella di Paasilinna è un’utopia che porta alla fondazione di una micro-nazione completamente sostenibile ed autarchica. Ironia e serietà si alternano di capitolo in capitolo, dimostrando che, tutto sommato, dalla “crisi dell’immaginazione” con cui si apre questo numero della newsletter possiamo ancora uscire (forse).
È difficile descrivere l’assurdità del tutto attendibile che si percepisce in ogni pagina de L’Allegra Apocalisse. L’autore non nega certo l’esistenza di cose brutte nel mondo: a un certo punto New York viene sommersa dai rifiuti e scoppia pure una bella Terza Guerra Mondiale. L’ingombrante presenza di questi tristi avvenimenti, però, viene controbilanciata da lunghi brani descrittivi dedicati alla caccia dell’alce, la costruzione di prigioni idilliache e la pesca invernale nel lago ghiacciato. Questo passaggio ne è un esempio:
Il tempo era mite, una dolce brezza agitava gli alberi, facendo cadere dai rami blocchi di neve bagnata che scavavano buchi profondi nel manto bianco che copriva la terra. Si respirava un senso di pace e di libertà. E nessuna fretta, per quanto il viaggio non fosse finito. Eemeli Toropainen era stato rimesso in libertà dalla prigione di Arhus una settimana prima.
Dov’è finita l’ironia?
Il romanzo Guida il tuo carro sulle ossa dei morti della scrittrice e poetessa polacca Olga Tokarczuk si basa sullo stesso meccanismo. Nonostante il macabro titolo, in questo libro le tragedie umane sono inframezzate dalla totale devozione della stramba protagonista per i boschi in cui sceglie di vivere, nonché dal suo profondo rispetto per ogni forma di vita, specialmente quando si tratta di cervi uccisi dai bracconieri.
Rattristarsi per animali selvaggi ingiustamente cacciati ci permette di de-problematizzare il rapporto che abbiamo con la natura. Al contrario, parlare di emissioni di anidride carbonica non fa che allontanarci dall’emergenza climatica, come dimostrano le piatte parole di Ursula Von Der Leyen.
Le storie di Paasilinna e Von Der Leyen, in fondo, non sono poi così diverse. Entrambe sono utopiche e reali, strampalate e concrete, contraddittorie, ma possibili. Quindi, perché non imparare a raccontare quest’ultima con parole diverse, più coinvolgenti?
Sarebbe bello parlare con ironia e meraviglia di alberi che chiacchierano, allegre apocalissi e vecchie matte che nel tempo libero indagano su loschi cacciatori di frodo. Mettere al centro la bellezza rigeneratrice di ciò che ci circonda è qualcosa che facciamo ormai di rado, ma che sollievo quando succede.
Le cose che devo dire prima di concludere, altrimenti non sembra una vera newsletter:
1) Le newsletter crescono quando la gente ne parla, quindi se vuoi aiutarmi e dire ai tuoi amici di iscriversi, questo è il link giusto per farlo.
2) Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi di “Bollicine”. Se vuoi, puoi farlo via Instagram, Twitter o email.
3) Se non trovi la newsletter, controlla lo spam e poi spiega al tuo provider di posta elettronica che no, “Bollicine” non è spam. Grazie al cazzo, mi dirai tu, ma secondo Substack è importante reiterare il concetto quindi eccomi qui a reiterarlo.
4) Se niente funziona, ricorri all’archivio. Lo trovi qui.
Dire grazie
L’idea di questa puntata mi è venuta leggendo il saggio di Ferris Jabr The Social Life of Forests pubblicato sul New York Times Magazine e accompagnato dalle meravigliose fotografie di Brendan George Ko. L’ho già linkato una volta e ne abbiamo discusso a lungo, ma repetita iuvant. E grazie anche a Tommaso per avermi costretta ad andare a camminare in montagna quando non avevo nessuna voglia di andarci.